Felicita’

..La felicità, ha detto Dante, è

“quel dolce pomo che per tanti rami

 cercando va la cura dei mortali”

: quel dolce frutto che l’uomo cerca tra i rami della vita.

Ma se tutti cerchiamo la felicità, perché così pochi sono veramente felici e anche quelli che lo sono, lo sono per così poco tempo? La rivelazione dice: “Dio è felicità”; l’uomo inverte di nuovo l’ordine e dice: “La felicità è Dio!” Ma cosa avviene in questo modo? Noi non conosciamo in terra la felicità allo stato puro, come non conosciamo l’amore assoluto; conosciamo solo frammenti di felicità, che si riducono spesso a ebbrezze passeggere dei sensi. Quando perciò diciamo: “La felicità è Dio!”, noi divinizziamo le nostre piccole esperienze; chiamiamo “Dio” l’opera delle nostre mani, o della nostra mente. Facciamo, della felicità, un idolo. Questo spiega perché chi cerca Dio trova sempre la gioia, mentre chi cerca la gioia non sempre trova Dio.

L’uomo si riduce a cercare la felicità per via di quantità: inseguendo piaceri ed emozioni via via più intensi, o aggiungendo piacere a piacere. Come il drogato che ha bisogno di dosi sempre maggiori, per ottenere lo stesso grado di piacere.

Solo Dio è felice e fa felici. Per questo un salmo esorta: “Cerca la gioia nel Signore, esaudirà i desideri del tuo cuore” (Sal 4).

Con lui anche le gioie della vita presente conservano il loro dolce sapore e non si trasformano in angosce. Non solo le gioie spirituali, ma ogni gioia umana onesta: la gioia di veder crescere i propri figli, del lavoro felicemente portato a termine, dell’amicizia, della salute ritrovata, della creatività, dell’arte, della distensione a contatto con la natura.

Solo Dio ha potuto strappare dalle labbra di un santo il grido: “Basta, Signore, con la gioia; il mio cuore non può contenerne più!”. In Dio si trova tutto quello che l’uomo è solito associare alla parola felicità e infinitamente di più, poiché “occhio non vide, orecchio non udì, né mai salì in cuore di uomo quello che Dio tiene preparato per coloro che lo amano” (cfr.1 Cor 2,9).

È ora di cominciare a proclamare con più coraggio il “lieto messaggio” che Dio è felicità, che la felicità -non la sofferenza, la privazione, la croce- avrà l’ultima parola. Che la sofferenza serve solo a rimuovere l’ostacolo alla gioia, a dilatare l’anima, perché un giorno possa accoglierne la misura più grande possibile. 

 

ROMA, giovedì, 13 dicembre 2007 (ZENIT.org).- Tratto da il commento di padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap. – predicatore della Casa Pontificia –, alla liturgia di domenica prossima, III Domenica di Avvento.