IL MIO PRIMO ROSARIO

Gianluca è sempre stato “molto credente”, in un modo che descrive “più particolare che istituzionale”. Però da quando i suoi bambini hanno cominciato a frequentare il catechismo, ha ripreso la pratica religiosa che aveva da tempo abbandonato, soprattutto quella della messa domenicale. 
Lo scorso giugno, il padre è morto dopo una breve e devastante malattia. Già quindici anni fa sperimentò cosa poteva significare perdere un genitore: colpito da un infarto, il padre la scampò proprio all’ultimo. Forse grazie al tempestivo intervento dell’ambulanza, forse grazie alle sue preghiere, le sue richieste specifiche a Dio di salvarlo. 
Conosciuto l’ambiente Spei nella persona di Stefano, le occasioni di confronto e di vicinanza a Dio nella preghiera si moltiplicano per Gianluca, soprattutto nei giorni della prova del padre. Questa volta però Gianluca stenta a chiedere a Dio che intervenga in qualche modo sul malato, non si sente di chiedere ancora, dopo quindici anni: la malattia è grave, veloce, il periodo della sofferenza fisica del padre è alle porte. Gli stessi dottori dicono che bisogna solamente aspettare l’inevitabile fase terminale: arrivare alla scelta tra accanimento o terapia del dolore. Gianluca declina l’invito di Stefano a fare un pellegrinaggio a Medjugorje, quello che può chiedere all’alto, stavolta, è soltanto un risparmio di dolore per il genitore. 
Stefano dà a Gianluca un santino della Madonna di Gargallo, un santino “speciale”, con dei petali secchi, che dice di applicare sul corpo del padre. Gianluca è restio, “non ha mai fatto lo stregone”, ma un giorno la madre gli chiede di stare all’ospedale tutto il pomeriggio. Dopo avere accettato, non avendo niente da perdere, sparge i petali sul corpo del padre, mentre dorme – è attaccato alla flebo per idratarsi, in uno stato ormai di sonnolenza continua e terminale. Li lascia per un poco. Poi li toglie e se ne torna a casa. 
Gianluca non sa chi sia stato a staccare la flebo, quella stessa notte. Forse il padre stesso, forse no. Non sa. Dopo un trauma del genere, il padre non può che essere sottoposto a una terapia del dolore. Si spegne qualche giorno dopo, senza male addosso. Dopo il funerale e la cremazione, Gianluca dice per lui un rosario, assieme a Stefano. Non aveva mai recitato questa forma di preghiera. 
Ancora oggi Gianluca non sa se Dio sia intervenuto direttamente sul padre, quindici anni fa e lo scorso giugno. Due volte ha pregato a distanza di anni per il padre, e qualcosa è successo. L’emozione del “tocco divino” sulla pelle non l’ha provata. Quantomeno, e con un sorriso in faccia, resiste ad ammetterlo. 

31/07/2014