NON POTEVA DIRE NIENTE SENZA PARLARE DI DIO

Eve è nata in una famiglia polacca trasferitasi in Inghilterra dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Vive in Italia da molti anni, in un bellissimo appartamento a Modena. Suo marito è direttore finanziario alla Panini, lei lavora come insegnante madrelingua di inglese in alcune scuole private e in proprio. Tra il 2006 e il 2007 ha impartito a Stefano alcune ripetizioni negli uffici Spei.

 

Come ha conosciuto Stefano?

È stato tanto tempo fa. Il figlio di Stefano frequentava la scuola materna con mio figlio. Per me era una sfida fargli imparare l’inglese, probabilmente gli serviva per l’azienda, per proiettarla all’estero… Eravamo diventati amici, noi due e le nostre famiglie… Conobbi sua moglie [Francesca] ed anche il suo migliore amico, uno svedese che lavorava alla Tetrapak.

 

In che rapporti eravate?

Stefano is particular, è diverso. Lo capivo benissimo, perché sono cresciuta con un padre molto religioso. Ogni tanto parlavamo di questa cosa. Anche Stefano per tante persone può essere troppo religioso, però io, con un padre così, riuscivo a gestire la cosa: lui parla molto di Dio, non è per tutti. Anche mio padre non poteva dire niente senza parlare di Dio. C’è gente che non sopporta questa cosa, non riesce a gestirla e non sa come reagire.

 

Lei è religiosa?

No, non molto, adesso no. Sono cresciuta in un ambiente molto religioso, cattolico… Sono “normale”, sto crescendo mio figlio come cattolico, vado a Messa e lo porto con me: io credo come un tempo, anche se gli altri della mia famiglia non credono più. Mio marito è anglicano ma non crede in niente, non è come me.

 

Cosa le diceva Stefano di Dio? Cose personali?

La mia memoria non è come quella di una volta [ride, ndr]… Diceva come era diventato così religioso, cosa pensava… Avevamo un rapporto di amicizia, mi chiedeva cosa io pensavo di questo o quello: era importante per lui sapere cosa pensava la gente.

 

Avete mai pregato assieme?

No, mai. Io non pregherei con nessuno… Comunque non me l’ha mai chiesto.

 

Quanto durò il vostro ciclo di lezioni?

Meno di un anno… Poi dopo un po’ di tempo un suo collaboratore mi contattò per chiedermi di dare altre lezioni di inglese, questa volta a due ragazzi della Spei: ne abbiamo fatte, ma solo poche.

 

Dal 2008 la Spei assume persone con difficoltà sociali, fisiche, psicologiche, spirituali. Lo sapeva?

Dev’essere il suo modo di fare qualcosa di buono nella vita, è particolare lui. Ricordo che aveva assunto un ragazzo che aveva problemi… Aveva già queste cose in testa.

 

Il primo che assunse fu nel 2008, Stefano lo incontrò per strada.

Io non avevo problemi! Non mi ha assunto per quel motivo… Almeno, è quello che ho capito io [ride]. Di me aveva bisogno come insegnante… E ogni tanto parlavamo, mi faceva domande, ma con discrezione, senza essere pesante. Mi ricordava molto mio padre.

 

È ancora vivo suo padre?

No, è morto nel 1999.

 

Era piacevole per lei ricordarlo?

Ero abituata. Piacevole no, perché la mia famiglia è stata un po’ schiacciata da lui per l’aspetto religioso… Parlava solo di Dio, ogni cosa che diceva finiva con Dio, voleva che noi andassimo in Chiesa quattro volte a settimana, e che qualcuna delle mie sorelle diventasse suora… Mia mamma non era così religiosa, c’erano tanti litigi in casa… Lui l’accusava di non voler crescere i figli religiosamente, era un po’ prepotente. Si può essere religiosi senza che ogni cosa che si dice finisca con qualcosa di religioso, no? Pregavamo ogni sera…

 

Non le piaceva?

Sì, mi piaceva, c’ero abituata…

 

Disse a Stefano che le ricordava suo padre?

Sì sì sì… Lui rideva… Rideva… [sorride]. Stefano prende le cose così…

 

È cambiato qualcosa in lei durante quelle lezioni alla Spei? Ricevette qualche testimonianza particolarmente forte?

No… Avevo capito che Stefano voleva fare qualcosa di buono in questo mondo, cambiare qualcosa. Ho capito che era buono, a good person. Voleva dare opportunità alla gente che non ne aveva mai avute, era preparato a fare questo, perché lui credeva molto in Dio e in quello che faceva. E riusciva in quello che faceva: non è il tipico uomo d’affari che gestisce un’azienda e basta… Ma non mi parlava di tutte queste sue cose personali, non ero così “dentro” la ditta, non sapevo tutto… E poi l’azienda era sempre vuota quando ci andavo… Gli chiedevo come fosse possibile gestirla senza che ci fosse mai nessuno, e lui diceva: <<Quando finisce il lavoro arriva sempre qualcosa perché… Dio fa così!>> [ride]. Lui era così allora! [ride di gusto]. 

 

E lei, oltre a divertirsi, credeva in quello che diceva?

Sì, io credo in lui! Non avevo nessun motivo per non credere in lui. Io non so quanto costa gestire un’azienda, se tutti erano pagati… Comunque lui dava opportunità alle persone, era una persona buona, simpatica… Particolare: we say in English: different! E poi alla fine ha anche imparato un po’ di inglese… Non era male… Alle volte “rompeva tutto” e introduceva un argomento che non c’entrava niente con la lezione, si sa come fa: gli viene in mente qualcosa e perde la strada… Comunque quando si concentrava non era male. È andata così. Stefano abita ancora a Modena? Ha una casa a grande…

 

Stefano vive a La Spezia con la propria famiglia, viene a Modena solo al giovedì e al venerdì. Nella sua casa ci vive un ragazzo della Spei [Gianluca], un amico di famiglia, anche lui di La Spezia. Una volta ha fatto pure dormire qualcuno in ufficio [Pasquale], un napoletano, che venne assunto: non aveva niente in tasca, era disperato…

 

Stefano forse è anche diventato più disponibile di prima, perché la sua fede is getting stronger, è sempre più forte, come [quella di] mio padre. 

09/10/2014