HOMO HOMINI LUPUS

Poco più che trentenne, Lorenzo è un disegnatore meccanico diplomato al Corni. Vive a Modena ed ha una ragazza con cui andrà a convivere dal prossimo anno. Ha lavorato alla Spei tra la fine del 2003 e la metà del 2005, quando si licenziò di punto in bianco, lasciando la ditta nei guai. [È solo dopo il suo passaggio che Stefano parlerà con Luca, e la Spei comincerà a cambiare.]

 

Come sei arrivato alla Spei?

Dopo essermi diplomato al Corni, feci un corso di progettazione meccanica per ceramica, su PRO-E. Trovai lavoro a Modena, in un ufficio tecnico che credo sia ancora attivo, che utilizzava un altro programma di disegno. Rimasi lì sei mesi, ma era una cosa assurda.

In che senso?

Era un ufficio “vecchio stile”, con un capufficio sessantenne: uno di quelli che ti si mette di fianco e per tutto il giorno dice cosa devi fare, senza spiegarti niente, controllando ogni minima virgola di quello che stai facendo. Una cosa assurda. Dopo sei mesi mi licenziai.

Avevi già trovato posto alla Spei?

No, me ne sono andato perché non ce la facevo più. In quel posto c’era un livello di stress insopportabile. Dopo il licenziamento mi sono guardato in giro e ho trovato la Spei, tramite un annuncio, forse su internet. A me piaceva disegnare con PRO-E, che cominciai a conoscere un po’ nella ditta in cui lavorava mio padre, un po’ da autodidatta. Volevo approfondirlo, e alla Spei avevo l’occasione per farlo.

Come è stato il colloquio con Pesaresi ?

Ricordo pochissimo… [ride, ndr]. Forse mi fece fare una prova di modellazione con PRO-E, ma a livello meccanico non mi chiese niente… Mi assunse subito, come apprendista: faceva comodo a lui per la tassazione, a me per evitare il servizio militare.

[Anche il tuo amico Luca è stato assunto subito.

Sì, feci io il suo nome a Pesaresi. E pure quello di mio fratello, che per un periodo ha lavorato alla Spei.]

Hai detto che col CAD sapevi già fare qualcosina. Alla Spei hai avuto una formazione più completa?

L’esperienza Spei mi è servita molto per applicarmi nel disegno 3D: Pesaresi era bravo, conosceva il programma abbastanza bene, soprattutto nella fase della modellazione, per quanto anche lui avesse ancora da imparare. A livello di progettazione, però, non posso dire la stessa cosa delle sue capacità: se non sbaglio, Pesaresi non ha una formazione meccanica, ma informatica: il programma di disegno lo sapeva usare bene, ma a un ragazzo che come me iniziava a lavorava mancava l’esperienza di un progettista. Era un’idea che avevo, per la quale mi scontrai anche con lui: mi rendevo conto di imparare le cose per esperienza personale, dai clienti per cui lavoravo, e non in ufficio. È un difetto presente in quasi tutti gli uffici tecnici esterni: formano le persone ad usare il CAD solamente nella fase del disegno, ma non in quella della progettazione – [una ditta per cui lavorammo [, la Gima,] si arrabbiò proprio per questo motivo – avevamo fatto dei disegni con molti errori di progetto: si aspettava molta più esperienza da noi.]

Se capitavano problemi di questo tipo, i clienti pagavano lo stesso?

Non so proprio rispondere. Chi si occupava del feedback col cliente era Pesaresi, che in quel periodo era più che altro manager. Una volta prese un ragazzo [Calogero Venezia] per affidargli i compiti del commerciale, così da potersi concentrare sul disegno: secondo me – e dico la mia – era meglio che continuasse a fare il manager: non ho visto in lui l’esperienza necessaria… ma questo è un mio parere [sorride]… Alla Spei non avevamo un’esperienza acquisita con grossi lavori: sarebbe servita la figura di un ingegnere meccanico, che arriva alla soluzione dei problemi con la sola teoria, oppure quella di un perito esperto, come lo sono io adesso. Di fatto, quando c’erano problemi, Pesaresi si affidava a me: ero bravo, certo, ma avevo appena cominciato. Ho capito che per diventare un bravo disegnatore bisogna entrare stabilmente in una ditta e seguire tutte le fasi del prodotto: produzione, montaggio, collaudo, oltre alla verifica in cantiere, e un controllo negli anni per vedere che succede… Altrimenti si rimane sempre agli angoli del progetto, e non si cresce.

È un problema sistemico, gli uffici esterni sono presi per essere lasciati ai margini.

Perfetto, è proprio così. È raro che ad un ufficio esterno venga affidata tutta la realizzazione del prodotto, dalla progettazione fino al montaggio: di solito è richiesto solo qualche disegnatore che si aggiunga a un lavoro in corso… Con la Spei è stato così: appena assunto lavoravo principalmente dall’ufficio, senza avere clienti fissi. Poco dopo cominciai a lavorare da esterno, in una ditta di Reggio Emilia [Lombardini], e poi in una di Bologna [Marposs]: facevo diversi lavori simultaneamente, barcamenandomi tra l’ufficio e ditte di diverse province. Odiavo girare. Nel 2005 arrivò un nuovo cliente, la System, e riuscii finalmente a lavorare in un unico posto.

Perché ti licenziasti dalla Spei?

Avvenne proprio durante il periodo in System. In quegli uffici conobbi la Tecnodinamica, un ufficio tecnico nostro concorrente di Rubiera, con la quale lavorai fianco a fianco per diverso tempo, fino a quando non mi assunsero: me ne andai principalmente per una questione di soldi, oltre al fatto che volevo rimanere nel luogo in cui ero, e crescere: mi assicurarono che non mi sarei più mosso dalla System. Cambiai datore di lavoro, ma le mansioni erano più o meno le stesse: solo col tempo riuscii ad impormi, cercavo sempre di fare qualcosa di più, e di farlo bene. Nella ditta di Rubiera ero l’unico con esperienza 3D: mi affidarono il compito di decidere chi assumere, ero portato su un piedistallo, ero indispensabile perché la ditta mantenesse la System come cliente. Stavo facendo notevoli passi avanti, crescevo, anche in fase di progettazione. Nonostante ciò, proprio per il fatto che ero comunque dipendente di una ditta esterna, non potevo seguire il montaggio, né il collaudo, né la verifica della macchina nel cantiere.

Così sei diventato dipendente System.

Sì. Dopo quattro anni mi licenziai dalla ditta di Rubiera per farmi assumere direttamente dalla System, con la quale avevo sempre avuto ottimi rapporti, fin dai tempi della Spei: avevo finalmente l’occasione di concentrami su tutte le fasi del progetto, cosa che lavorando per un esterno non avrei mai potuto fare [–  il cliente non può affidare la progettazione a una ditta che potrebbe lasciare il lavoro a metà da un momento all’altro, soprattutto nei momenti di crisi, nel caso riceva un’offerta più alta altrove: deve necessariamente affidarsi ad un interno su cui contare nel tempo.]

La ditta di Rubiera ti strappò alla Spei?

Sì, praticamente sì: un giorno mi invitarono a Rubiera e mi fecero la loro proposta. Eravamo due ditte concorrenti, ma lavoravamo fianco a fianco ogni giorno, si erano creati dei legami. Apro una parentesi, ma questo è un altro problema con cui devono fare i conti gli uffici esterni: i dipendenti lavorano sempre fuori dalla propria base, e spesso può risultargli difficile sentirsi effettivamente parte di una sola ditta, dovendo seguire sia le regole del proprio datore di lavoro, sia quelle del cliente. Comunque sì, Tecnodinamica mi strappò alla Spei.

Come lo dicesti a Pesaresi?

Andai da lui con la lettera di licenziamento in mano, gli dissi che me ne andavo. In meno di due settimane non ero più della Spei. Logico che non gli dissi che andavo a lavorare per la System [ride di gusto].

Come mai?

Non sarebbe stato molto corretto, sinceramente. Dissi che mi licenziavo perché avevo ricevuto una proposta da un altro ufficio tecnico… Dissi anche che mi ero stancato di andare in giro a destra e a sinistra. Non gli parlai dei soldi, dal momento che alla Spei non sarei rimasto neanche per cifre più alte.

Cosa disse Pesaresi?

Beh, lui si arrabbiò [sorride], ci rimase male, perché aveva visto in me una persona valida. Inoltre in quel periodo ero impegnato anche in un progetto difficile per la Lombardini, ero l’unico della Spei in grado di portarlo a compimento [: Maggi e Caselli non potevano riuscirci; Pesaresi non era veloce come me, ma ne sarebbe stato in grado se si fosse applicato.]

Credi di aver tradito la Spei?

La perdita più grossa per la Spei è stata la System, un cliente che garantiva lavoro per anni e anni: in questo ho [inculato] tradito Pesaresi. Non è stata una mossa corretta da parte mia, non è stato giusto: lavoravo per la Spei con la System, e sapevo benissimo che passando alla Tecnodinamica non ci sarebbe stato più posto per nessuno della Spei: volevano me, non altri. Non è stato giusto, ma se non l’avessi fatto non sarei dove sono adess. Ho imparato che quando vedi un’opportunità, la devi prendere. Come dicevo, però, la colpa è anche della Spei, perché non ha valorizzato i propri disegnatori nel momento in cui doveva farlo: se qualcuno sta cercando di guadagnare su di te ingiustamente, e oltretutto limita la tua crescita, devi seguire la tua strada, anche se va contro una persona.

[In che rapporti eri con Stefano?

Un capoufficio rimane un capoufficio, è sbagliato creare legami di amicizia sul luogo di lavoro. Si rischia di non essere più liberi di lavorare bene, di ottenere risultati: quando è l’ora di riprendere un subordinato che sbaglia va fatto senza tentennare, e l’amicizia può compromettere questo, perché “lascia passare le cose”. Con Pesaresi comunque mi trovavo bene a livello umano, ricordo che una volta accompagnai tutta la sua famiglia a Bologna, per ritirare l’Audi che aveva appena acquistato. Ricordo però che con mio fratello e con Caselli si inalberava spesso, pretendendo che risolvessero problemi che lui stesso non riusciva a risolvere: non poteva aiutarli, ma voleva il risultato.

Vi siete mai più risentiti dopo il licenziamento?

Mai più. L’ho visto passare una volta per un corridoio della System, qualche anno dopo, ma non mi vide neanche. Probabilmente gli sto un po’ sul cazzo, non credo abbia voglia di vedermi.]

14/11/2014