VENGO IN UFFICIO PER FARE UN CAMMINO

Giuseppe è sui cinquanta ed è momentaneamente disoccupato. Da ogni suo discorso traspare l’amore per la propria famiglia: la moglie, che lavora in ospedale come strumentista in sala operatoria, e i figli Paolo ed Aurora. Ha conosciuto Stefano lo scorso maggio, e da ottobre non manca un incontro del giovedì. Racconta del suo rapporto personale con la Spei, dell’aiuto ricevuto, di cose che sono successe.

 

Come sei arrivato alla Spei e quando?

Alla Spei sono arrivato nel maggio 2014 con un grosso problema lavorativo. Ero depresso, stavo quasi per cadere. Cercavo lavoro ma non c’era niente da fare, pur essendo iscritto a tutte le agenzie interinali di Modena. Un giorno mia moglie contattò [Amelia], una dottoressa vicina di casa di Stefano. Le raccontò del mio problema e della mia profonda depressione. Così le fu suggerito di chiamare Stefano, “una brava persona, che mi avrebbe sicuramente aiutato”.

La tua era una depressione clinica?

Stavo quasi per cadere nella depressione vera e propria, tanto che dovetti ricorrere ai farmaci, perché vivevo praticamente sul divano. Ero completamente abbattuto, mi ero lasciato andare. Chiamato Stefano, io e mia moglie andammo alla Spei: entrammo negli uffici, ma mia moglie non potè entrare nello studio. Solo io feci il colloquio, Stefano voleva parlare solo con me.

Come mai?

Questo non l’abbiamo capito. Forse perché ero il diretto interessato.

Tua moglie si è sentita respinta?

No, sinceramente no. Abbiamo capito che così doveva andare. Aspettò fuori dalla stanza di Stefano mentre io facevo il colloquio.

Quanto è durato?

Sarò stato dentro tra un’ora e un’ora e mezza.

Cosa ti chiedeva?

Stefano mi ha chiesto di raccontargli la mia storia e l’ho fatto. Ho detto che per diciassette anni ho lavorato nella stessa azienda come operaio, in catena di montaggio, e che “di botto” venni gettato in mezzo alla strada perché la ditta navigava in bruttissime acque. Abbiamo anche un po’ parlato di argomenti religiosi: a un certo punto Stefano si alzò dalla sedia, prese un libro dagli scaffali, me lo diede e disse di aprire una pagina a caso. Apersi e lessi: non ricordo cosa c’era scritto, ma Stefano disse che ciò che avevo letto rispecchiava un poco il mio animo.

Secondo te era vero?

Raccontai a Stefano che prima di venire a Modena avevo lavorato assieme a mia moglie in una clinica psichiatrica privata, a Bologna. Facevo l’ausiliario: pulivo le camere e portavo da mangiare agli ospiti; un lavoro che avevo imparato ad amare. Stefano, collegandosi al passo del libro che lessi, disse che effettivamente ero più portato a un tipo di “missione” di aiuto, come se dovessi essere ricollocato sul lavoro facendo del bene agli altri. Ricordo chiaramente questa sua affermazione.

Quando sei andato da Stefano, avevi esclusivamente l’obiettivo di trovare un lavoro?

Certo. Ero andato da lui per un colloquio di lavoro. Amelia ci disse che Stefano era una persona molto profonda che mi avrebbe aiutato a trovare un lavoro.

Ti disse cosa avresti potuto fare alla Spei?

Chiesi qualcosa in proposito. E fui onesto con lui, perché ammisi di non essere in grado di fare nessuna delle “cose tecniche” di cui si occupa la Spei, Onestamente, non ho le basi né di computer né di meccanica. Stefano disse di non preoccuparmi, perché avremmo cercato altro: «Vediamo un po’».

E poi il colloquio è finito.

È andato ancora un po’ avanti… Abbiamo parlato dei figli, della famiglia. Gli ho raccontato di come mi sentivo – e purtroppo mi sento tuttora – come uomo, come marito, come padre: la perdita del lavoro mi ha radicalmente cambiato. Il tempo che passavo da disoccupato, collegato alla coscienza della totale ingiustizia dell’azienda nei confronti miei e di tutti gli miei colleghi, mi rendeva arrabbiato, furioso, assolutamente intrattabile. Arrivai ad avere repulsione per la mia casa: giravo a zonzo, con le porte chiuse. Sempre chiuso in casa… Non ero più io.

Al colloquio, Stefano ti ha parlato della sua conversione?

Sì. E mi chiese se pregavo. Purtroppo lo facevo poco, ma mi incoraggiò a farlo, perché mi avrebbe comunque aiutato, mi avrebbe rasserenato. Mi disse: «Io ti aiuterò, allo stesso tempo tu prega, perché la preghiera dà un conforto e un aiuto a 360°». Voglio sottolineare una cosa: ho perso molti dei ricordi da quel maggio dell’anno scorso, avevo troppa confusione in testa, ero psicologicamente a pezzi.

La Spei ti ha dato lavoro?

Dal giorno del colloquio a due tre settimane dopo, telefonai a Stefano dicendo: «Signor Pesaresi, io momentaneamente non posso più venire da lei a fare colloqui perché sono stato chiamato da un’agenzia per lavorare quattro mesi in CNH». E lui mi rispose: «Visto che qualcosa si muove? Io non ho fatto niente, è stata la Madonna che ha voluto così». Gli dissi che volevo continuare a venire da lui per parlare, e lui rispose che potevo andarci quando volevo; allo stesso tempo mi spronò a buttarmi a capofitto sul nuovo lavoro.

Che periodo hai fatto in CNH?

Ho lavorato dal 1 giugno al 30 settembre 2014: quattro mesi. Dopodiché – non so come definirmi: egoista, opportunista – sono tornato a bussare alla porta della Spei, e Stefano mi ha accolto come la prima volta.

Questo ad ottobre?

Sì, a metà di ottobre.

Dopo il primo colloquio cominciasti davvero a pregare per trovare lavoro?

Certo. Pregavo per mia moglie, per i miei figli, per me stesso, e anche per il lavoro.

Era molto che non lo facevi?

Erano parecchi mesi. Sono credente, cattolico, purtroppo peccatore… Andavo a Messa solo quando ne sentivo l’esigenza personale, per avvicinarmi di più alla preghiera, perché ero onestamente disperato per il lavoro. In quel periodo, inoltre, dovevo accompagnare mia figlia al catechismo, perché si preparava a ricevere la prima Comunione. Stavo trovando un po’ di pace. Cominciai ad andare a Messa tutte le domeniche.

Dopo i mesi in CNH hai fatto un secondo colloquio. Com’è stato?

Non ero più disperato come a maggio. Psicologicamente avevo molto recuperato: innanzitutto pregavo, e i quattro mesi di lavoro – e quattro stipendi – mi avevano risollevato tantissimo. Ero contento del fatto che avevo riacquistato la mia dignità, perché prima mi ero sentito una nullità, mi ero sentito “niente”.

Ad ottobre eri già un’altra persona.

Sì. Al colloquio tornai a chiedere aiuto a Stefano. Ero molto più aperto in tutto. Per aggiornarlo sulla mia vita, confidai che in famiglia eravamo in due a cercare lavoro: mio figlio Paolo, a giugno, si era diplomato. Dissi questo solo per aggiornarlo della novità, ma Stefano, con mia grande sorpresa, disse: «Dalla prossima settimana portalo qua». Ero felicissimo. Qualche giorno dopo Paolo fece il colloquio in ufficio, e cominciò da subito a collaborare con la Spei, iniziando un percorso di apprendimento al disegno meccanico. Da quel momento, ogni giovedì vengo in ufficio a fare questo cammino, la vostra riunione.

Ma il lavoro non l’hai ancora trovato.

No, purtroppo no. Spero che Stefano mi possa ancora aiutare. Però, nel frattempo, è successo qualcosa a Paolo: ha frequentato l’ufficio per un mesetto, dopodiché, grazie a Dio, grazie alla Madonna, ha trovato lavoro al di fuori della Spei.

Quale lavoro?

È un canalista, dalla prima settimana di dicembre. Rispecchia alla perfezione quello che ha studiato a scuola – è tecnico idraulico dei sistemi energetici. Fa soprattutto impiantistica di acqua calda e acqua fredda. La piccola ditta per cui lavora l’ha assunto con tre mesi di contratto e la prospettiva di andare avanti: da come Paolo ne parla, la prossima volta gli faranno almeno sei mesi di contratto.

Come ha trovato il posto?

Direi che non è stata una “casualità”, affermarlo, secondo me, sarebbe una bestemmia. Mia moglie, andando a prendere la bimba a scuola, stava parlando con due o tre persone, manifestando il disagio della disoccupazione mia e di Paolo. Ad un certo punto una signora si intromise nel suo discorso: «Scusi se sono indiscreta, ma potremmo far provare suo figlio nella ditta di mio marito perché, da quello che ho capito, ha gli studi giusti».

Dunque Paolo non aveva mandato neanche un curriculum.

No.

E tu, che non hai ancora trovato un lavoro, cosa vieni a fare alla Spei ogni giovedì, ormai cinque mesi?

Alla Spei mi sento capito, accettato; mi sento assolutamente a casa. Innanzitutto col signor Pesaresi, ma anche con le altre persone che collaborano, nonostante non parli tanto: sento la loro comprensione, la loro solidarietà. Venire qui mi ha rasserenato, e mi rasserena sempre di più. Certamente ho ancora la preoccupazione di trovare un posto di lavoro che mi restituisca dignità, ma alla Spei ho sentito qualcosa che mi ha cambiato profondamente.

Cosa hai sentito?

È stato un giovedì di novembre, la seconda volta che venivo con mio figlio. Quel giorno mi sono sentito assolutamente leggero, pulito nell’animo.

Cosa vuol dire “leggero”?

Vuol dire che quel giovedì ho sentito che qualcosa dentro di me diceva: «Anche se non hai lavoro, va bene comunque». Mi sono sentito più leggero nell’affrontare la vita quotidiana, il rapporto con mia moglie, con i figli, con me stesso. Quel giovedì, mentre pregavamo tutti assieme, ho sentito proprio la spinta ad andare avanti, dentro di me: il mio umore era come un ascensore,  saliva e scendeva. Da quel giorno sono più sereno.

Che preghiera stavate dicendo in ufficio?

Il rosario dei Pater Ave Gloria.

Quella leggerezza si è mantenuta?

L’ho sentita particolarmente quel giorno, ma poi è rimasta. Sto benissimo nella Spei. Se non vengo un giovedì sto male. Infatti, quando si presentavano impegni famigliari alla stessa ora dell’incontro, facevo in modo di tenermi libero e poter venire con voi, per non mancare mai.

Sei mai mancato una volta?

Mai. Solo una volta non si è fatto l’incontro, perché Stefano era indisposto. Ero tranquillo perché il motivo non dipendeva da un mio problema personale.

E se una volta non riuscissi a venire?

Mi dispiacerebbe moltissimo. Mi mancherebbe l’aria. Non solo tu nel libro, ma tutti hanno notato che il mio stare in silenzio, che è ascoltare gli altri, mi fa stare bene. Mi fa sentire a casa. Certo, anch’io ho una bella parlantina, ma ascoltare gli altri mi dà serenità.

Al bar non riesci ad ascoltare gli altri?

No. Ho avuto compagnie al bar, ma solo se mi sento “in casa” sono sereno. Le cose importanti le vivo lì.

Hai citato il libro, dove si racconta di un episodio che ti ha visto direttamente protagonista. È il capitolo “Pulizie”. La domanda è: alla Spei vieni solo il giovedì?

No, vengo anche il venerdì a pulire l’ufficio, perché ho sentito dentro di me di offrire “il mio”, avendo saputo che c’erano difficoltà nel tenere pulito lo studio. Mi sono sentito di farlo io: è giusto nei confronti della Spei, è una cosa che a me piace e che mi sento di farla.

Perché è giusto nei confronti della Spei?

So perfettamente che momentaneamente sono disoccupato e non sto lavorando. Sapendo che alla Spei Tizio fa il commerciale, Caio fa il disegnatore… Insomma, molti hanno già da fare “il loro”… Mi sembrava giusto – non per fare l’eroe – essere collaborativo come tutti gli altri per la Spei, con tutti gli altri. Lo dico apertamente: l’ho sentito nel mio cuore. Quando troverò lavoro, e sono convinto che lo troverò, io non smetterò di venire alla Spei; sicuramente verrò meno, perché sarò più occupato, ma farò il possibile per poter mantenere io l’impegno di venire a fare le pulizie. Se non sarà possibile farle di venerdì, troveremo un’altra via d’uscita: io di questo ne sono assolutamente sicuro e convinto.

Stai continuando a mandare curriculum?

Sì. Sarebbe ingiusto stare giovedì alla Spei e non fare nulla dopo. Ho un’agenda piena di nomi cui portare il mio curriculum: lunedì qui, martedì lì, mercoledì là… Due settimane fa ho portato i curricula in alcune agenzie in cui sono iscritto da almeno tre anni, perché dovevo aggiornarli. In una c’era la possibilità di un lavoro, ma per l’ennesima volta è sfumato prima che cominciasse, perché hanno preferito assumere dei junior.

Cercare un lavoro è un lavoro.

Per me è senso di responsabilità. Il lavoro dovrebbe essere un diritto di tutti, è scritto anche nella costituzione.

Perché alla Spei hai trovato la serenità? Perché tanti, e non solo tuo figlio, hanno trovato un lavoro passando di lì?

Perché la Spei è attenta alle persone, ti apre il cuore, ti fa pensare. Ti fa cambiare. È un ambiente lavorativo col cuore aperto, e non un «robot».

Capitano anche litigi, a qualcheduno hai pure assistito. Ci sono frizioni tra i dipendenti.

Per me la Spei è e rimane un’“isola felice”, come ambiente di lavoro e di accoglienza. Lo dico col cuore in mano: qualche volta ho notato le incomprensioni, le frizioni e un po’ di aggressività da parte di qualcuno che vuol sopraffare l’altro; ma solo in qualcuno c’è sempre un po’ di conflitto.

Tua moglie cosa dice della Spei?

Vorrebbe anche lei confrontarsi con Stefano, venire a qualche incontro. Quando trovai lavoro alla CNH, dopo il colloquio con Stefano, mi ricordò le parole di Amelia: «Il signor Pesaresi vi aiuterà!». Mia moglie ci aveva creduto, sapeva che la mia situazione si sarebbe sbloccata.

Ed ora che non hai lavoro, pensa ancora così?

Parliamo sempre di lavoro, ogni settimana. Mi fa capire tra le righe che non devo intendere la Spei come un ufficio di collocamento; mi dice di aver sempre più fiducia, coraggio e pazienza. Dice sempre così: «Per una volta che l’ho visto, per come me ne ha parlato Amelia e per come me ne parli tu, vedrai che il signor Pesaresi non ti abbandona». Questo, detto da lei, mi è rimasto impresso.

06/03/2015